Grisolia

Storia

La storia di Grisolia comincia con il suo nome.
Secondo alcuni esso derivò dal greco Chrousolea o dal latino Chrisena, entrambi significanti oro e riferibili alla fertilità del terreno o più suggestivamente a qualche miniera d'oro presente nel territorio.
Molto più probabilmente l'origine del nome Grisolia è da riferirsi alla comunità monastica italo-greca che si stabilì nella sommità della zona “cupa”.
Certo è che la storia di Grisolia comincia già in epoca neolitica visti i resti trovati nella grotta della Serra, in cui oltre a frammenti fittili appunto di epoca neolitica sono stati rinvenuti resti fenici. In zona marina troviamo resti di ville romane, probabilmente di epoca imperiale. Nel periodo romano, inoltre, tra il 400 ed il 200 a.C., Roma installò in località Pantanelli un presidio militare per il controllo dell'accesso, in quanto la Sibari-Laos, una delle vie più importanti che congiungeva lo Ionio con il Tirreno, passava attraverso il Varco del Palombaro nel territorio di Grisolia.
Durante la seconda guerra Punica, i romani vi subirono alcune imboscate ad opera delle popolazioni indigene, alleate di Annibale: a Serra Vecchia, dove morì il console Tiberio Sempronio Gracco; alla Fricciara, il toponimo ricorda infatti la caratteristica dell'imboscata; ed infine, la più dura delle battaglie che avvenne tra l'esercito di Annibale e una legione romana presso la Valle dell'Orco in località Campo, come afferma Silio Italico.
Nell'Alto medioevo Grisolia crebbe nella comunità monastica italo-greca del Mercurion, lo testimoniano i numerosi luoghi di culto che in quell'epoca fioriscono nel territorio grisolioto e che sono legati a santi della cultura di Bisanzio più che di Roma: il monastero di San Nicola e la cappella di Santa Sofia su tutti.
Dopo l'anno mille il nascente abitato di Grisolia divenne centro normanno, probabilmente vi trovò rifugio Ruggiero di Loria fin dalla sua conquista dei casali. Mentre a partire dal 1300 Grisolia fu sede di numerose famiglie feudatarie fino al 1806, anno dell'abolizione della feudalità appunto.
Durante gli anni del Risorgimento Grisolia non fu immune ai problemi della questione meridionale e vide l'alternarsi di slanci unitaristi a reazioni filoborboniche che culminarono nella esposizione della bandiera borbonica nella piazza del paese.





Cosa vedere

Grisolia   Grisolia   Grisolia

L'interno di Grisolia è un intrigo di vicoli, scale, archi e supporti.
I vicoli sono innumerevoli e diversi tra loro per larghezza e lunghezza.
Una caratteristica dell'architettura del centro storico è il supporto, in gorgo: "U SPUORTU", tratti coperti del centro antico, nati dalla necessità di costruire, anche per motivi di difesa, le case l'una sull'altra.
Questi si possono ammirare, perché variano per dimensione, importanza e bellezza; i più imponenti senza dubbio sono: u spuortu du mulinu, che in età comunale era una delle porte d'entrata, se non la principale porta, della città; u spuortu di Via Sotto le mura; u spuortu di Via Cafallaro e u spuortu di Via Chiesa, che porta al Santuario di S. Rocco, meta di pellegrinaggio soprattutto nel mese di agosto, le case sono attaccate l'una all'altra con una certa continuità e unite da archi in funzione statica ed estetica; predomina, infatti, come del resto in tutti i centri di origine medievale. II pieno sui vuoti. Particolarmente diffusa, nelle costruzioni, è la pietra di Grisolia e di fiume, materiali facilmente reperibili in luogo.
Molto usati nella copertura sono i coppi d'argilla, detti in gorgo "CERAMILI". Tra le soluzioni più interessanti troviamo quella del Hmposta del tetto all'attacco con la muratura, con i coppi serrati in filari multipli i quali formano una smerlatura di singolare effetto.
Questo motivo appare così diffuso tanto da potersi considerare ricorrente nell'edilizia Grisoliota.
Le murature sono spesso lasciate grezze, non intonacate, da dove si notano le feritoie che servivano per reggere le impalcature. Inoltre vi sono delle finestre asimmetriche, che variano per dimensioni, stile e bellezza e testimoniano l'influenza di epoche e maestranze di diversa denominazione.
I palazzi, (anzi...ciò che è rimasto!) anch'essi con i tetti rossi di coppi d'argilla, si distinguono per mole, stile ed età; spiccano il Palazzo Ducale, che risale al XV secolo, di proprietà del comune; i palazzi de' i "de Patto"; e in zona Castello, in alto, quello appartenente alla famiglia Saporiti, e più in basso, soprastante, "u spuortu" di Via Sotto le Mura, quello appartenente alla famiglia Tosto, che conserva ancora esternamente la struttura originaria del portico.
Questi palazzi conservano ancora oggi alcuni elementi decorativi, in special modo nei portali, nei balconi, nelle finestre; sull'architrave spesso spiccano le iniziali del proprietario o lo stemma del casato. Dalle vie si accede alle abitazioni tramite scale e scalette in pietra, affiancate alla fronte stradale.
E' da precisare che l'uso della scala esterna è dato unicamente da fattori di sfruttamento massimo dello spazio disponibile in quanto, sporgendo sulla sede stradale comune, non impegna l'area destinata ai vani abitabili.
Nelle strade confluiscono i vicoli "Vanelle", una volta quasi tutti predisposti a gradinate in pietra , oggi, pavimenti in porfido con elementi decorativi e ciottoli di fiume.
Nella parte alta dell'abitato abbiamo la chiesa di S. Rocco da Montpellier, oggi Santuario, e intitolata alla Madonna delle Grazie.
Infeudato a Tancredi Fasanella, nel 1395, viene alienato in favore di Roberto Alagno e concesso quale dote matrimoniale. Nel 1420 vi figura Nicolò Capece Bozzuto. Negli anni compresi tra il 1445 e il 1539 viene annesso ai possedimenti del principe di Bisignano del quale segue le vicende per lungo tempo fino allo smembramento del vastissimo stato. Nel 1605, è venduto al patrizio napoletano Fabio Bologna che dopo quattro anni lo cede al celichese Orazio Guerra la cui famiglia vi governa ininterrottamente fino al 1663. Il feudo apparterrà ancora alla famiglia Brancaccio, all’ospedale di Sant’Angelo, ai Rossi (1663-1701), agli Armetrano (1701-1732), ai Cavalcanti (1732-1741), a Pietro Catalano Gonzaga i cui discendenti saranno scacciati dalle leggi napoleoniche del 1806.








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